“Ho seguito un incontro culturale, un sabato pomeriggio, per una presentazione di un libro su temi legati alla diversità nelle sue am- pie sfaccettature e che si riallacciavano al tema della sofferenza. Ciò che mi ha colpito è stata la poca affluenza maschile e invece la vasta partecipazione femminile; su 60 persone abbiamo notato un solo uomo. Mi sono chiesta come mai questo accade. E lo stesso sconcerto è valso per un corso a cui ho partecipato sui temi legati all’arte-terapia: molta partecipazione femminile e pochi uomini presenti. Che spiegazione dare a questo divario?”

La nostra lettrice ci invita a riflettere su questa anomalia che però accade periodicamente, e devo dire anche spesso, visto che mi occupo come docente di corsi di scrittura terapeutica e come formatrice di Master, dove la presenza maschile è sempre molto esigua; una percentuale risicata rispetto al femminile.
Anche io in tutti questi anni mi sono chiesta il motivo di questa profonda differenza. Ma desidero anche gettare una lancia a favore del maschile perché in questi ultimi mesi (che il covid abbia sollecitato e stia forzando uno sguardo diverso sulla vita?) sembra voler dare parola e significato al proprio esserci iniziando a partecipare in prima persona su temi legati alla Cura e all’approfondimento interiore.
Perché l’arte terapia, onnicomprensiva nelle sue molteplici integrazioni, si rivolge sempre come strumento di conoscenza all’interiorità: strumento inteso come ricerca del sé e propagazione del segno. Perché noi siamo fatti di “segni” e l’arte ci aiuta a dipanarli, a generarli.
Per questa differenza di genere, che notiamo in diverse realtà sociali, dobbiamo tutti lavorare ad una equiparazione perché il nostro futuro non potrà essere diverso da questa identificazione dove ciò che realmente conta è i valore della persona, al di là del genere a cui appartiene.
La persona supera questa differenza che noi consumiamo nelle nostre elucubrazioni mentali perché in ogni persona coesistono sentimenti diversi come la sofferenza e la gioia, la fatica e la leggerezza, la paura e il coraggio…
Manca una consapevolezza vera, autentica, manca quel desiderio forte di recupero attraverso il lavoro interiore, la fiducia che attraverso il lavoro interiore si possa costruire enormemente in crescita personale, in capacità relazionale, in creazione di senso.
Il maschile se sa affrontare quella parte emotiva che fa parte anche della sua storia mnemonica, riesce sicuramente a migliorare le sue relazioni, la sua professionalità lavorativa e in tal modo sentirsi progressivamente anche più appagato dalla vita.
Il maschile se affronta con maggiore coraggio alcune frustrazioni, alcune paure, può aiutarsi nel generare nuove possibilità anche nella riscoperta di nuovi talenti legati alla sua creatività.
L’uomo può sfruttare favorevolmente questa occasione per affrontare diverse parti del sé che rimangono, come dire, un pochino attutite, in letargo, facilitando in tal modo pratiche di vita importanti che possono condurre ad una sana riconciliazione con quelle conflittualità che vanno viste, visualizzate, elaborate e trasformate in forza coesiva a favore della collettività famigliare e sociale.
Un nuovo linguaggio è possibile se non ci facciamo sovrastare da paure e da condizionamenti generazionali assorbiti e non elaborati traendone forza.
L’emozione per riconoscerla dobbiamo saperla tastare, assorbirla, sentirla veramente addosso, dobbiamo attraversarla, essere in grado di nominarla, di rappresentarla.
Più vogliamo tenerci lontani da quelle emozioni più rischiamo di perdere le nostre parti migliori. I sentimenti se praticati e valorizzati sono elementi sempre educativi e di sintesi dell’essere umano.
Rischiamo di perdere il linguaggio sentimentale che eccelle nel suo valore; di uscirne persone frammentate e non solide, dove solidità significa anche la capacità di cadere e rialzarsi con più grinta.
Solo trattando i sentimenti e le emozioni riusciamo a spalancarci alla vita con maggiore motivazione, con forza più empatica gli uni verso gli altri.
Se ci allontaniamo da questa forza che è il sentimento è perché temiamo fortemente il sé, noi stessi, di perderci nelle frustrazioni che invece vanno educate, a cui va data parola.
Abbiamo paura di svelare la nostra interiorità come se rappresentasse un disvalore della persona e non la sua bellezza, la grazia che le compete.
Forse il femminile può lavorare a questa pratica della vita rivalutando la Cura del sentimento, le sue capacità insite nelle sue propagazioni. Forse il femminile può tentare di aprire questo confronto sollecitando con più forza e coraggio il linguaggio emotivo per far crescere questo valore della bellezza del sentimento che è risorsa grande anche per il maschile.
Noi donne non possiamo più corteggiare il maschile con l’intentzionalità di sentirci equiparate per ruolo professionale o per ambiti di specializzazioni carrieristiche; credo che la nostra forza risieda altrove, come sempre più uomini anche culturalmente alti, ci raccontano attraverso la loro stessa esperienza.
Questo maschile ha bisogno di sentire quella parte che bussa costantemente dentro la sua anima e che cerca solo un cenno propositivo per essere ormeggiata in un porto sicuro ed esplicare la sua grande forza nascosta. Il mio caro amico Recalcati adesso aggiungerebbe: (Che sia benedetta la vita, AMEN…sua rappresentazione teatrale come elogio alla vita).
Sonia Scarpante