“La mia vita
si è fermata ad allora,
nonostante tanti anni di terapia,
nonostante i molti strumenti
a cui mi sono affiancata
per dipanare e sciogliere
quella violenza.
Ero una ragazza
ma non esiste giorno
in cui quel ricordo
non si riaffacci alla mia mente.
Lei pensa
che la scrittura
mi può essere
in qualche modo di aiuto? ”

Gentile Giulia,
credo fortemente nel valore terapeutico della scrittura per averlo vissuto personalmente e per averlo incontrato in tante persone che mi hanno accompagnata in questi anni.
E proprio ad una di queste donne desidero riferirmi perché il significato della sua vita va oltre il racconto di quel suo trauma; Maura ci lascia un segno indelebile che però chiede costantemente di essere riconosciuto e assunto da noi con responsabilità.
E come per lei questo vale per tante altre donne che hanno vissuto o vivono percorsi similari di violenza e di ingiustizia.
Ognuno di noi dovrebbe sentirsi sempre parte in causa quando accogliamo il dolore o il grido dell’altro.
Ognuno di noi credo debba saper scegliere nella vita e stare dalla parte di chi soffre o chi fa fatica ad avere più voce.
Decisiva è stata per me l’esperienza che ho vissuto con questa cara amica, anni fa, e ha innescato in me approfondimenti utili per capire da che parte stare e perché è importante prendere posizione nella vita. Desidero che a lei, cara lettrice che mi scrive, la narrazione riportata qui di seguito le possa essere fonte di ispirazione.
Da “I nodi di Maura” di Sonia Scarpante
…Per me sei stata molto importante, l’elemento fondante: attraverso le tue fatiche interiori ho saputo cogliere quanto sia necessario oggi dare inizio a una nuova scienza della medicina, per la quale sia importante riferirsi alla persona come contenitore biologico e contemporaneamente riferirsi alla persona come contenitore biografico. Per me sei stata e sei essenziale perché mi hai fatto dono di un lascito difficile, ma che mi sprona a seguitare su questo tragitto della comprensione. Possiamo scegliere la via più facile e breve? NO. Possiamo scegliere di interloquire accettando tutto a occhi chiusi come se la cosa non ci riguardasse da vicino? MAI. Mai, come tu ben sapevi.
Mi hai lasciato tra le mani la trascrizione di una violenza, della quale oggi si fa ancora poca denuncia. Mi hai lasciato fra le dita quei vecchi sensi di colpa che ci appartengono sempre, ma che bisognerebbe avere il coraggio di buttarli alle spalle quando si impara a volersi bene e a non rinunciare a sé stessi.
Mi hai lasciato nei pensieri quei rapporti sempre difficili e irrisolti che si instaurano abitualmente fra padre e figlio, fra madre e figlia.
E mi hai lasciato anche il dolore più intenso dell’aborto, che ci lascia sempre inebetiti e con sensi di colpa inespugnabili che non saranno mai risolti. Non potevo non scrivere di te, non potevo non svelare la tua storia che vorrei fosse di aiuto per altre donne. Vorrei che fosse sentita come esempio, per incoraggiare, per spronare ad affrontare con meno chiusure le proprie paure, trovando il coraggio e la forza di parlarne. Ma forse il granello che più mi ha stimolato è stata quella tua frase che quel giorno su una panchina di fronte al lago mi hai sussurrato: “Se dovessi riuscire a superare la malattia, mi piacerebbe un giorno, Sonia, fare qualcosa per le donne che hanno subito violenza. Vorrei tentare di aiutare, in un centro che si occupa di questi dolori, quelle donne costrette ad abortire e che non hanno trovato più pace. Vorrei portare loro la mia esperienza per incoraggiarle, in parte, a superare il loro dolore”. Io ti dissi che era un bel sogno, un bel progetto, e che era importante che tu ce la facessi per darti questo nuovo senso. Tuttavia, col tempo percepivo alcuni tuoi nodi stabili, alcune difficoltà interiori che non lasciavi libere e allora assistevo in un angolo, senza premere.
Perché credo che ognuno di noi abbia un suo percorso da fare e che per ognuno di noi i tempi siano diversi.
Il mio tempo del coraggio non poteva essere il tuo, la forza del mio essere non poteva divenire la tua.
E questa differenza nella nostra amicizia ha rappresentato per me la parte più difficile da accettare. Questo mettermi da parte perché fossi tu ad affrontare le tue paure. Mi dicevi, Maura: “Vorrei riuscire a scrivere, ma non saprei da dove cominciare e poi sono sicura che arrivata a quel punto… per me sarebbe così terribile che non potrei trovare più forze per andare avanti…”. E io ti ascoltavo dicendoti solo di non obbligarti a ciò che faticavi a esprimere, ma al tempo stesso ti rammentavo di imparare a guardare dentro il tuo cuore, per imparare a esprimere i tuoi desideri. E allora, a questo punto, credo sia necessario e utile parlare di noi, da dove è nata questa nostra amicizia intensa e unica, per cercare di alleggerire quei pesi che fanno parte di molte come te e me…
E poi… poi la trasparenza di quel giorno al lago confermò le sensazioni di mesi, di anni, le perplessità taciute.
Mai, come quel giorno al lago, mi sei parsa tanto fragile e indifesa, ma subito dopo decisa e rafforzata.
Ma spesso, purtroppo, l’intorno che ci accompagna, anche le persone che ci amano, non ci aiutano a traghettare verso quella nostra conoscenza pura. Hanno più paura di noi e preferiscono vedere un quasi falso di noi, perché il cambiamento trasforma le cose, le persone, e può aprire crisi profonde, e anche a quelle bisogna essere preparati. E allora ci difendiamo nel nostro bozzolo perché ci fa paura leggere nello sguardo e nelle parole altrui la disapprovazione, la nostra mutevolezza, insicuri per quei rapporti futuri che rappresenterebbero un’incognita nuova.
Abbiamo paura fondamentalmente di rimanere soli, e allora indugiamo nelle nostre sembianze, ci barrichiamo nel nostro vissuto certo, per non scoprire un altro noi. Ma ciò che mettiamo a tacere, Maura, si rivela spesso essere la nostra parte più pura, quella non contaminata. Se mi devo descrivere di fianco a te, è come se vedessi quel fosso: da una parte ci sono io con la sensazione di avere allungato il passo per superare l’ostacolo, e dall’altra ci sei tu che mi osservi, che reclini il capo per chiedermi come si fa. E su questo non ho risposte, Maura, perché non conosco quella lampadina interiore che all’improvviso per alcuni si accende.
So solo che a un certo punto non stai più bene con te stessa, che ti manca l’aria per vivere, che tutti quei rapporti prestabiliti ti sono divenuti insofferenti. E allora innesti la marcia, perché senti che hai bisogno di volerti più bene, senti che non ti ami abbastanza e che hai bisogno di riporre fiducia in te stessa prima di riporla in chiunque altro. E allora scatta il cambiamento, i rapporti iniziano a capovolgersi, e ti ritrovi fra le dita nuovi linguaggi che con il tempo avevi dimenticato.
…Sono cresciuta con te tramite la lettura di libri che ci appassionavano, sono cresciuta con te attraverso il tuo dolore trattenuto, sono cresciuta perché dopo mesi trascorsi nell’impossibilità di scriverti oggi la penna scorre su questi fogli con un’irruenza che faccio fatica a sostenere. Sono cresciuta perché so che il pianto, rileggendoti, ci unirà sempre più, e io, finalmente, oggi, non lo temo più. Sono cresciuta attraverso un’esposizione di quadri dove la neve faceva da padrona.
Neve
La neve sfavilla nei miei occhi.
Luce ed incanto.
Parsimoniosa nelle sue movenze,
leggera ad uno sguardo perso.
Chiazze bianche su rami silenziosi,
gioco di forme sparse in una crisalide
che appaga i sensi.
So che la neve mi riporterà sempre a quel bianco cristallino che avvolge tutto immergendo la natura nel silenzio, e so che la neve mi ricorderà quel quadro di Monet nel quale vedo riflessi i miei passi io ero con te, e so che la neve mi ricongiungerà a te nel ricordo vivo dei nostri spazi, delle nostre alterità. Sarà sempre un viaggio verso il futuro, ma con gli occhi volti al passato. Sarà leggerti fra le note di questi scritti nella cui espressione libera ho sentito il bisogno di fissarti, per non dimenticarti nel tempo, per imprimerti come neve su terra arsa.
Oggi, come allora, quando ho dato voce a questa testimonianza che poi si è scarnificata nel libro” I nodi di Maura” ( www.odon.it), sento ancora il bisogno di dare voce al dolore inespresso di chi ha subito un trauma o violenza, di fissare la mia complicità di donna perché questa è esperienza assai comune e solo parlandone, solo dando voce a quella sofferenza che reputiamo invalicabile, riusciamo a scendere a patti con quell’insoluto, a creare sponde di appartenenza verso una riconciliazione che può vederci tutti uniti e consapevoli.
Questo per me significa far parte di una comunità di destino.
Chiedo anche a lei, a te Giulia, di scrivermi e non averne paura.
Io ci sarò. Ti aspetto.
Sonia Scarpante