“Dedichiamo questo numero
ad una giovane autrice
con immagini ricche di simbolismi.”
Chi è Alice Arcando
Alice Arcando (Milano, 1982)
Dopo la laurea in Relazioni Pubbliche
e Pubblicità (IULM, 2004),
decide di seguire la sua passione
per le arti figurative specializzandosi
in Gestione e Comunicazione dei Beni
e degli Eventi Culturali (IULM, 2006).
Elabora la sua tesi di laurea specialistica
presso la Collezione Peggy Guggenheim
di Venezia, dove inizia a conoscere
la realtà dei servizi educativi museali.
Alice Arcando passaggi
Passaggi, 2019

La sua carriera ha inizio come addetta a ufficio comunicazione e stampa per società legate ai beni culturali (Arterìa, Open Care spa, Galleria d’Arte Contemporanea OttoZoo) e procede come libera professionista consulente di comunicazione e creatrice di contenuti.

Nel 2020 approfondisce le sue conoscenze nell’ambito dell’educazione museale conseguendo un Master in Servizi Educativi per il Patrimonio Artistico, dei Musei Storici e di Arti Visive (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) e svolgendo uno stage per Ad Artem.

Coniuga il suo know- how progettuale alla sua grande passione: la fotografia. La sua poetica si sviluppa attraverso uno sguardo mirato a catturare e comunicare il quotidiano e capace di creare nuovi dialoghi e storytelling contemporanei.

La tua formazione, che nasce dall’interesse per le arti figurative, ti ha portato ad occuparti di “comunicazione”, in particolare per società legate ai beni culturali; di “servizi educativi museali”. Quanto ha influito sulla passione per la fotografia?

In realtà la passione per la fotografia è nata prima della mia formazione accademica, perché fin da piccola mi è stata data la possibilità di utilizzare le macchine fotografiche dai miei genitori. In particolare mio padre è sempre stato un cultore appassionato, sviluppava e stampava le sue foto in camera oscura e a 18 anni mi ha regalato la sua Canon analogica degli anni settanta e da quel momento non ho più smesso di scattare in ogni occasione. In famiglia ho assimilato la fotografia come memoria, in casa abbiamo scaffali pieni di album catalogati per anni, immagini che raccontano i momenti significativi della nostra vita. E’ stata molto importante anche la frequentazione di musei, gallerie d’arte e la visita alle mostre che hanno accompagnato la mia infanzia e giovinezza.

Tutto ciò ha influito sulle mie scelte successive, infatti dopo la laurea in Relazioni Pubbliche e Pubblicità, ho approfondito le mie conoscenze nell’ambito dell’educazione museale presso la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, perché ho capito che stavo bene quando stavo dentro a un museo, a visitare una mostra, davanti a una foto o a un quadro.

Certamente la frequentazione costante degli ambiti culturali ha cambiato anche il mio modo di vedere le cose, le vedo come in un frame, in una cornice, anche se non sempre riesco a trasformarle in fotografia.

Nelle tue fotografie la figura umana spesso si colloca in una piccola parte dello spazio che la circonda e il tutto trasmette armonia. Talvolta è rappresentata da ombre, ogni immagine sembra racchiudere una storia. Composizioni grafiche e prospettive insolite identificano una libertà espressiva.

Premetto che non mi definisco “fotografa”, ma utilizzo la fotografia come mezzo espressivo, per fissare sensazioni ed emozioni.

Ho fotografato in luoghi diversi, più o meno ampi, dove i soggetti vi capitano quasi per caso, e nel contempo danno allo spazio una misura.

Diventano la prova inconfutabile che quel luogo sia reale. La presenza umana è un medium, e come tale non importa ritrarla nel dettaglio: rimane senza volto, ne colgo l’ombra, (Ischia) la sagoma in lontananza, una frazione di corpo; o del corpo solamente le tracce, un’idea di forma sospesa.

Eppure, anche quando non compare, il suo esserci è potente: esiste con fermezza nell’assenza di un peso su una sedia scostata, (Attesa), nella tendina raccolta di una finestra (Meriggiare).

Il troppo ordine non mi piace, cerco qualcosa che rompa l’ordine e che aggiunga valore alla sua presenza, così è la presenza umana nel paesaggio oppure la caduta di un uccello da un filare.

Come scrive Roberto Mutti nel testo che accompagna il catalogo Tracce: “Mi muovo nel paesaggio urbano sperimentando diversi approcci: passo così da composizioni molto grafiche a ricerche di prospettive insolite, da visioni d’assieme a sottolineature di particolari, che, come nel caso della piuma che galleggia sull’acqua, sembrano alludere a delicati simbolismi.

La tua ricerca “Tracce” è stata selezionata e curata da Roberto Mutti per il Photofestival milanese del 2022 ed esposta presso lo “Spazio Lambrate”. Fotografie che rivelano uno sguardo intimo e silenzioso. Vuoi parlarci di questa esperienza?

Alice Arcando Loneliss
Loneliness, 2019

La mostra “Tracce” è stata un’esperienza nuova e stimolante. Roberto Mutti, curatore attento e sensibile, ha scelto lo Spazio Lambrate di Laura Gerosa per l’esposizione e mi ha consigliato nella selezione delle fotografie. Ho cercato tra quelle che avevo già scattato nel corso del tempo ed ho privilegiato la presenza umana nel paesaggio. “Ischia” è l’unica foto realizzata apposita- mente per l’evento, con l’ombra proiettata sul muro che costruisce una composizione geometrica. Non amo uscire con la macchina e scattare appositamente su un tema, il mio approccio è più libero, riprendo quello che vedo e che attrae la mia attenzione: l’uccellino che si butta da solo giù dal filo, (Uno) o il riflesso nella vetrina in piazza Duomo a Milano.

Questa in particolare, con il simbolo della figura intrecciata nel contesto della manifestazione sulla pace, mi ha fatto pensare che siamo tutti anelli della stessa catena ed esprime pienamente il significato di quel giorno (Intrecci). L’esposizione è stata un’occasione importante e gratificante per il dialogo con i visitatori. Poter spiegare, raccontare, cogliere anche le loro impressioni ed interpretazioni. Ad esempio la foto con gli stivaletti rossi (Self-portrait), che è un mio autoritratto, alcune persone l’hanno invece interpretata come una riflessione contro la violenza sulle donne. Qualcuno ha addirittura scritto e dedicato dei pensieri ad ogni singola foto. Ho compreso che le mie immagini parlavano anche a loro.

In questa mostra, accompagnata dal catalogo curato da Roberto Mutti, la fotografia è accostata alla poesia di Elisabetta Fava. Corre su binari paralleli, alla ricerca di un inter- scambio, un momento di tangenza, per dare vita ad un racconto interiore. Elisabetta ha scritto i testi sulle foto già realizzate, la foto ispira la parola, insieme “si intrecciano ma non si identificano”.

Quale messaggio vorresti dare alla altre donne che sono alla ricerca del proprio potenziale espressivo?

Dovremmo educarci nell’esprimere noi stesse,
il nostro potenziale, che troppo spesso resta intrappolato in sovrastrutture mentali.

Io stessa dovrei darmi qualche buon consiglio, mi sono creata un po’ da sola, negli anni, tanti freni, anche nel far vedere agli altri le mie creazioni.

Il mio non considerarmi “fotografa”, perché senza un attestato, non mi legittimava a esporre le fotografie; quando intorno a me, amici e parenti esprimevano magari il loro apprezzamento, pensavo che fosse per affetto. Ho fatto molta fatica ad espormi , ma dai feedback che sono arrivati ho capito che il limite era un po’ nella mia testa.

© Alice Arcando Immagini

Intervista a cura di Manuela Metelli e Mina Tomella