“Il Tibet come finestra sul mondo, la persecuzione di
un popolo come messaggio
di resistenza, la fede come cuore e radici di una storia antichissima: il blues come palestra dello spirito, modello di evocazione, una forma di sentimento per dare colore e forza alla solidarietà, un esempio di tensione emotiva per raccontare uno spicchio di realtà dei giorni nostri.”
Enzo Gentile in Blues for Tibet, 2007

Maurizio Dell’Olio si definisce “Musicista & Sognatore” e da tempo dedica le sue idee musicali a sostegno di associazioni di volontariato internazionali che si occupano di bambini: AMURT– ITALIA TIBET – AIUTO ALLO ZANSKAR– FONDAZIONE SENZA FRONTIERE – I.C.S. – COOPI – COMITATO MARIA LETIZIA VERGA – EMERCENCY.
Maurizio Dell’Olio: da cosa nasce questa attenzione nei confronti di situazioni di emarginazione e disagio che coinvolgono le fasce più deboli, in particolar modo i bambini?
I miei progetti creativi sono finalizzati a sensibilizzare l’opinione pubblica. Il desiderio di raccontare e di raccontarmi attraverso l’espressione musicale, unito alla capacità di coinvolgere artisti di vario genere accomunati dalla sensibilità nei confronti dei problemi dell’infanzia nel mondo e dei diritti civili, un’alchimia che permette la realizzazione di iniziative che richiedono grande impegno e profonda convinzione.

L’ultima produzione è il video Blues for Tibet, un “blues”, una vibrazione lunga 23 minuti, accompagnato dalle fotografie di Manuela Metelli e di Ken Damy.
L’iniziativa Blues for Tibet risale al 2007, ed è nata dall’idea di fondere due forme artistiche quali la musica e la fotografia, con il coinvolgimento di fotografi e musicisti di chiara fama. Immagini e musica mettono in risalto il dolore e la fierezza di un popolo senza patria. Fin dalla prima edizione ho avuto il contributo della fotografa Manuela Metelli con le sue immagini del Tibet, già esposte presso il Museo Ken Damy di Brescia.
Manuela ha aderito anche alla nuova produzione, inoltre, in questa occasione, ho avuto anche il prestigioso contributo di Ken Damy con le sue fotografie.
La particolarità di quest’ultimo Blues for Tibet è il connubio dei due linguaggi, le immagini seguono il tempo della musica per trasmettere maggiormente l’emozione di questa vibrazione in blues di 23 minuti.
Sono state inserite le immagini dei concerti delle precedenti edizioni con la partecipazione di tutti gli artisti che hanno sostenuto questo progetto.
Tibet inizia e prosegue dal 2007, a cosa è dovuto il particolare interesse per questa realtà?
Il particolare legame sentimentale con quell’area geografica risale al periodo giovanile, all’esperienza del viaggio di formazione in oriente e agli influssi sulla mia personalità e sulla espressività musicale. Quindi nel 2005 ho accolto l’invito dell’amico Giacomo Boselli, all’epoca Presidente dell’Associazione AMURT di Parma, a collaborare per far conoscere la difficile situazione segnalata dai monaci tibetani relativa al divieto di istruzione ai bambini dei villaggi di questo paese. Così nel 2007 sono stati realizzati il CD e il libro del primo Blues for Tibet, presentato al Teatro San Domenico di Crema: una composizione musicale in forma di suite della durata di 23 minuti, realizzata in collaborazione con Alessandro Gariazzo (www.alexgariazzo.com), una colonna sonora che accompagna la visione delle splendide immagini fotografiche di Manuela Metelli. Il “blues” del titolo evoca la tristezza per le sorti di questo paese e dei suoi abitanti.
Fin da questa prima esperienza gli artisti hanno dato disponibilità immediata e senza scopo di lucro, tuttavia il tempo di realizzazione è stato di circa due anni, non tanto per la registrazione dei brani, quanto per la ricerca di sponsor che potessero renderne possibile la pubblicazione. Le difficoltà erano determinate dal timore di compromettere i rapporti economici con il mercato cinese.


Il progetto è stato poi presentato su Sky TV con il video intitolato Shankara, con un brano musicale realizzato per l’occasione.
Nel 2009 viene prodotto Blues for Tibet and other songs…
Un CD prodotto in collaborazione con Alessandro Gariazzo e Daniele di Gregorio che hanno messo a disposizione brani musicali da loro composti. In questo caso venne inciso a favore dei Monaci tibetani del Monastero di Sera Je. Anche questo lavoro si avvale delle immagini di Manuela Metelli che restituiscono una realtà ispiratrice di suoni ed atmosfere ricchi di poesia e suggestione.
Venne presentato nel 2010 nel corso della serata organizzata in ricordo dello scrittore e “Vespista” cremasco Giorgio Bettinelli, organizzata dall’Angolo dell’Avventura, presso il Centro Culturale S. Agostino di Crema, all’interno della rassegna dal titolo “Racconti, suoni e poesie di altri mondi”. La serata dedicata al Tibet ha visto tra gli altri la partecipazione di Vinicio Capossela, Marco Vasta e i Monaci del Monastero di Sera Je.
Segue il video Onmkara dedicato ai 144 monaci tibetani che si sono immolati contro l’oppressione cinese.
Il video Onmkara è stato realizzato sul mio brano musicale sperimentale, e nasce nel 2009 dalla necessità di preservare la memoria e mantenere l’attenzione nei confronti del Tibet e di quello che sta accadendo.
E’ importante proseguire con continuità, dal primo lavoro del 2007 ad oggi, per mantenere il sostegno a queste popolazioni che vivono una situazione di oppressione da parte della Cina. Come ha scritto Enzo Gentile nella presentazione del 2007, “Blues for Tibet è una sorta di lunga sinfonia, un grido disperato per richiamare l’attenzione su una tragedia che il pianeta non può ignorare: così, un contributo, piccolo ma genuino, giunga anche dall’Italia e che il blues, madre di tutte le musiche, sia il giusto battistrada, auspicio di giustizia e consonanza tra le genti della Terra”.



Le fotografie del Tibet di Manuela Metelli e di Ken Damy hanno contribuito alla realizzazione del progetto Blues for Tibet. In particolare Manuela ha partecipato con Maurizio Dell’Olio fin dalla prima edizione del 2007.
Manuela Metelli, fotografa, si è formata con maestri di fama internazionale, ma soprattutto ha viaggiato moltissimo con la Nikon al collo per raccontare attraverso la fotografia la realtà di paesi come India, Perù, Messico, Cuba, Belize, Guatemala, Stati Uniti, Marocco, Tunisia, Nepal, Tibet. Ha anche intrapreso il viaggio fotografico tra i profughi nel campo Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto, in collaborazione con Simonetta Ramogida.
Per il suo verismo narrativo Manuela predilige il bianco e nero, gli obiettivi grandangolari che obbligano ad una ripresa “diretta”, a uno sguardo ravvicinato, e le consentono di costruire un rapporto profondamente umano con persone e luoghi. Le sue fotografie raccontano paesaggi, uomini, donne e bambini ritratti con grande intensità che contribuiscono a scoprire il paesaggio sociale e antropologico.
Il viaggio attraverso il Tibet è stata una delle tue narrazioni, cosa ha significato per te l’esperienza fotografica che hai vissuto in questo paese?
E’ stata un’esperienza speciale per varie ragioni. La difficoltà del viaggio in un periodo dell’anno con condizioni atmosferiche avverse, era la stagione dei monsoni in Nepal e per raggiungere il Tibet siamo stati trasportati su camion che collegavano le strade sterrate tra una frana e l’altra, che attraversavamo a piedi per poi prendere il camion successivo una volta superata la frana e questo per diverse volte. Da piccoli spiragli posti fra le assi sul retro dei camion che ci trasportavano, riuscivamo ad intravedere il paesaggio di dirupi che stavamo percorrendo, che destavano angoscia e che forse era meglio non vedere.

Una volta arrivati sull’altipiano del Tibet a 5000 metri abbiamo trovato un paesaggio straordinario dove lo spazio visivo non incontra ostacoli, dove le vette si scagliano verso un cielo azzurro acceso che sembra di toccare e senti di essere sul tetto del mondo, un’emozione fortissima che porto ancora dentro di me.
Dovevamo viaggiare in gruppo accompagnati da una guida e seguendo un preciso itinerario autorizzato, ma questo non ha limitato il mio viaggio fotografico.
Ho incontrato persone con cui non riuscivo a comunicare con la parola, poiché non parlavano inglese e quindi comunicavo con la gestualità e sentivo il loro desiderio di stabilire un contatto con me, si avvicinavano e mi toccavano sulle braccia; in alcuni centri abitati di poche case le persone ci venivano incontro e ci mostravano l’immagine del Dalai Lama
Ho cercato con la fotografia di fermare questi attimi, di far sentire le loro voci attraverso i loro sguardi, i loro occhi che guardavano dritti nei miei, separati solo dalla macchina fotografica, ma che arrivavano forti e intensi nel mio cuore.
Sono convinta che alcune immagini riescano a raccontare questo momento così straordinario che la fotografia ti permette di raggiungere: il bambino con il cucchiaio al collo, che sembrava arrivato dal nulla a un’altitudine di 5000 metri, dove non c’erano case ma solo un deserto roccioso, si è avvicinato a noi insieme ad altri due bambini un po’ più grandi, gli ho offerto la mano e lui l’ha afferrata senza alcun timore.

La bambina che ho incontrato una mattina molto presto mentre stavamo per partire dal posto in cui ci eravamo fermati per la notte, con i suoi lunghi capelli raccolti in trecce e quegli occhi, quando una volta stampata la fotografia, sembra ne buchino la carta per la forza che trasmettono.
Ho potuto percepire anche la grande spiritualità di questo popolo, le loro preghiere piantate in posti dove non ci sono case, in un paesaggio desertico, ma anche il suono continuo delle preghiere vicino al Potala, come una musica un mantra e tutti quei corpi che si flettono verso il basso a toccare la terra per poi rialzarsi, quasi fosse una danza.
Un’altra mia immagine che ritrae questo momento è la donna anziana che si muove attorno alla ruota della preghiera con grande raccoglimento.
Anche in Tibet, come ho cercato di fare sempre nei miei viaggi alla scoperta di culture diverse dalla mia, ho avuto un atteggiamento di grande curiosità e non ho esitato quando in un monastero un monaco tibetano mi ha offerto del latte con burro di Yak dal sapore grezzo ma intenso.
La fotografia per me è solo un mezzo che mi permette di raccontare le emozioni che scaturiscono quando mi muovo alla scoperta di luoghi e persone, ed è grandioso il risultato che si ottiene quando si riesce a fissarle in un click!
Ken Damy è un fotografo e artista bresciano di fama internazionale. E’ stato docente di fotografia all’Accademia di Belle Arti di Urbino, Bologna, Venezia e Brera a Milano. Ha pubblicato libri ed ha esposto in numerose gallerie italiane e straniere con mostre personali e collettive. Direttore artistico e fondatore del Museo Ken Damy di fotografia contemporanea dal 1990, è stato ideatore e direttore artistico della Biennale Internazionale di fotografia di Brescia.
Ha presentato e organizzato criticamente mostre di autori internazionali e ha collaborato con le riviste Zoom e Progresso Fotografico.
Dal 1990 si dedica alla fotografia di ricerca, con particolare interesse per il nudo e per la fotografia di viaggio. Ha realizzato più di trenta reportages prevalentemente a colori dedicati a: Vietnam, Cambogia, Messico, India, Cuba, Guatemala, Tibet, Marocco, Tunisia, Stati Uniti, Egitto, Nepal, Eritrea.
Fotografia, grafica, avanguardia, ricerca e sperimentazione hanno caratterizzato il suo percorso artistico a partire dalla fine degli anni Sessanta ad oggi.
I reportages ti hanno portato a esplorare e raccontare i luoghi nella loro essenza con il linguaggio fotografico, cosa ha significato per te il viaggio in Tibet?
Domanda apparentemente facile, ma forse non lo è.
Per un fotografo i paesi da visitare per la prima volta rappresentano sempre una sfida con se stessi. Troppi colleghi studiano i percorsi cercando informazioni e, a volte, certezze per non tornare a mani vuote. Io ho sempre optato per l’incertezza, con una buona dose di rischio. Con il Tibet il rischio era alto, l’altitudine in primis; sempre oltre i 4.000 metri non è facile anche solo respirare. Il freddo soprattutto di notte ecc.
Cose che tutti sanno, ma sempre, a seconda dei luoghi, diverse. Manuela voleva arrivarci via terra partendo da Katmandu. Era una buona idea, in aereo non vale. Ma via terra è stata una vera avventura. Rischiosa, molto rischiosa

La strada ogni tanto spariva inghiottita dai fiumi. E dovevamo scendere dai camion. E andare a piedi fino al prossimo passaggio. Poi era crollato l’unico ponte transitabile con otto ore di deviazione per il guado.
Credo di essere stato esauriente. E’ stata un’avventura, rischiosa, faticosa, bella. Con il senno di poi, ne è valsa la pena. Il paesaggio, sempre con una luce splendida, variava di continuo.
E la gente che incontravamo era splendida.
Allegra e socievole, nonostante la miseria. Sembravano contenti di vedere persone diverse, vestite diversamente da loro.
Nessuna difficoltà nel farsi fotografare, cosa che avviene spesso in paesi a noi più vicini. L’architettura dei monasteri, colorati con cromie audaci.
E i bambini curiosi che si avvicinavano, che volevano toccarci, ma questi li ho lasciati a Manuela, era più brava di me. Ho scoperto un paese unico in tutto. E questo mi bastava. Non so quanto sia rimasto dopo l’avvento dei Cinesi, che si notavano solo nella capitale. Le notizie non sono buone, ma i tibetani sono forti. Free Tibet per sempre.
Ken Damy ottobre 2021 ventitré anni dopo, ma mi sembra ieri.
PS non parlo volutamente dei monaci, della loro religione pacifista e pacifica, troppo difficile da interpretare per me, ateo convinto, agnostico per scelta.
Manuela Metelli e Ken Damy: perché avete scelto di accompagnare Maurizio Dell’Olio nel progetto Blues for Tibet?
Manuela Metelli: Mi ha sempre affascinato dare movimento alla fotografia, che ferma un momento preciso e far vivere la fotografia in contesti anche diversi da quelli che solitamente si pensa quando si svolge un lavoro fotografico: la pubblicazione in un libro, su un giornale, oppure appesa a una parete nel caso di una mostra.
La musica e la fotografia si possono rafforzare vicendevolmente quando si uniscono. L’incontro con Maurizio Dell’Olio è stato speciale quanto il viaggio in Tibet perché ho conosciuto una persona che ha il mio stesso desiderio: dare voce al popolo tibetano, non dimenticarci del Tibet.
Mi ha permesso di divulgare le parole di Tenzin Tsundue, un profugo tibetano che ho avuto l’onore e il grande piacere di incontrare quando mi sono recata in India a trovare un caro amico fotografo Prabuddha Das Gupta e grazie a lui, ho conosciuto Tenzin. Blues for Tibet del 2007 e del 2021 hanno contribuito a portare agli occhi del mondo e raccontare le immagini di un paese dove tutti hanno paura di tutti e dove regna la morte e il silenzio come scrive Tenzin Tsundue.
Ken Damy: Per noi fotografi si è sempre chiamato settore audio visuale.
Ricordo le grandi proiezioni della Kodak con 128 proiettori Carousel nei teatri di tutt’Italia.
Legare quindi le immagini fotografiche, fisse, alla musica, è di enorme impatto. Una volta la musica accompagnava le video – proiezioni, adesso lo scambio è alla pari.L’importante è avere bravi musicisti, come Maurizio Dell’Olio e il risultato si è visibile in questo video Blues for Tibet.
Mina Tomella
Immagini di Manuela Metelli e Ken Damy