
Esiste la competizione tra donne?
Questa domanda provocatoria vuole stimolare
la riflessione e farci uscire
dagli stereotipi come quello dell’invidia
e della rivalità tra le donne.
Per uscire da questi stereotipi
possiamo leggere nella storia
e cultura del passato
per rilevare un paio
di evidenze che riguardano noi donne.
La prima evidenza è che l’immaginario culturale che oggi viviamo è stato costruito prevalentemente al maschile, basti pensare agli antichi filosofi, agli storici, ai religiosi, ai politici, ai militari e ai rappresentanti delle istituzioni che fino a pochi decenni fa sono stati solo uomini.
Storia, cultura e organizzazione sociale sono fortemente ancora influenzate da quanto è stato costruito fino ad oggi, ed, in questa “costruzione”, il ruolo della donna è sempre stato considerato marginale.
Per questo motivo nel passato la rivalità è stata l’unica modalità per “conquistare il maschio”, per avere la sua considerazione e, di conseguenza, avere un ruolo sociale anche per gli altri.
Se poi, come accade ancora oggi, si rimane imprigionate nella rivalità sulla bellezza per essere notate, per essere protagoniste o importanti in alcuni ambienti esclusivi, purtroppo possiamo dire che questo meccanismo è ancora operante.
La seconda evidenza è che la donna, in quanto generatrice di prole, ha da sempre perseguito il bisogno di sicurezza per la cura e la sopravvivenza dei propri figli.
Questo ha generato dipendenza dall’uomo e rivalità con altre donne che potevano essere minaccia per la stabilità del proprio nucleo.
In parole povere: lo spirito di sopravvivenza non faceva vedere di buon occhio altre donne che potevano distrarre il proprio uomo e allontanarlo quindi dal proprio nucleo familiare.
Nel mondo le donne sono sempre state in maggior numero rispetto agli uomini, questo probabilmente dovuto alle guerre, conflitti e lotte tra gli stessi.
Solo in questi ultimi decenni si è arrivati ad un equilibrio tra numero di maschi e femmine sulla terra.
Da uno studio dell’ONU (United Nations. DESA. World Population Prospects, the 2015 Revisions) emerge che gli uominisono poco di più delle donne.
Non in tutti paesi questo è valido: in alcuni paesi come la Russia sono più le donne degli uomini (86,5 uomini ogni 100 donne) in altri sono più gli uomini delle donne come Cina e India (106 o 107 uomini ogni 100 donne) così la media generale del rapporto è: 101,8 uomini ogni 100 donne.
Certamente il numero degli uomini non può essere la causa fondante di una competizione al femminile, ma se pensiamo al passato potremmo riconoscere che in tempi di guerra probabilmente molte sono state le donne rimaste sole, con figli da crescere e pochi gli uomini liberi.
Pensando a tempi più recenti, in Italia sono arrivate molte donne provenienti dalla Russia ed altri paesi dell’est per trovare occupazione e una nuova vita con uomini viventi in Italia.
Queste prime riflessioni ci portano a vedere che la competizione è uno strumento innato di sopravvivenza.
Ora mi chiedo e vi chiedo: è ancora necessario tutto questo?
Noi donne non siamo più nella stessa condizione di dipendenza, o meglio abbiamo maggiori possibilità di scelta, abbiamo supporti e sostegni quando rischiamo di essere vittime di situazioni di prigionia.
Questa rivalità che talvolta si può ravvisare, magari verso donne più giovani, magari verso colleghe più brave o ancora verso donne di successo non è forse la prova del nostro essere rimaste prigioniere di uno stereotipo?
Come possiamo uscire da tutto questo?
Una formula che può sempre aiutarci è lavorare sulla nostra autostima.
Perché proprio l’autostima? Perché non agire sugli altri?
L’autostima è la misura percettiva che abbiamo di noi stesse, in base ai modelli, criteri e nostre convinzioni a cui ci riferiamo.
Quando abbiamo poca autostima ci sentiamo più insicure, dipendiamo dai giudizi altrui, non abbiamo il coraggio di agire e di osare, siamo meno proattive, e sopratutto siamo convinte di non farcela quindi non osiamo perseguire i nostri sogni, i nostri desideri ed i nostri bisogni.
I passi da compiere per aumentare la propria autostima sono diversi e 3 sono quelli indispensabili:
1 – Riconoscere i propri errori valutando le azioni agite per individuare le aree di miglioramento senza esprime valutazioni sulla propria persona ( quindi evitare di dirsi: sei proprio stata…., non ti meriti…., non hai fatto abbastanza…, non sei in grado di..)
2 – Evitare di paragonare i propri risultati con quelli delle altre soprattutto quando non si sta lavorando in team, ogni espressione di talento ed operosità ha la sua unicità e non siamo tutte uguali.
3 – Accettare che si possa fallire nel senso di imparare da un errore come poter migliorare senza condannarsi con frasi tipo: sei una fallita…, potevi evitarlo se… etc..
Può succedere che, nonostante la nostra autostima, ci si possa sentire in competizione verso un’altra donna o altre donne o addirittura provare invidia o esserne oggetto a parte di una rivale.
In questo caso 3 sono i passaggi per non esserne condizionate:
1 – Riconoscere la propria o altrui invidia come fattore naturale di sopravvivenza
2 – Farsi la domanda: cosa provoca questa mia sensazione?
3 – Non focalizzarsi su ciò che avvertiamo ma sul contesto in cui stiamo operando e cosi essere presenti in quello che sta accadendo e ciò che possiamo imparare e migliorare con la fiducia in noi stesse.
Da pochi giorni ho terminato la lettura del libro Le Rivali di Paola Calvetti.
Tra le dieci donne raccontate nel libro, due in particolare mi hanno colpito: Helena Rubinstein ed Elizabeth Arden, “due imprenditrici famose che hanno dato vita a due imperi nel settore della cosmesi, due donne che si sono combattute, certo detestate, in fondo reciprocamente e silenziosamente ammirate. Eppure, non si sono mai incontrate.” (Le rivali Ed.Mondadori)
Due donne dal look completamente diverso, Helena, sgraziata, alta 1m e 47 cm, porta tacchi esagerati, si trucca pesantemente e ama i colori accesi, adora abiti di lusso e gioielli; Elizabeth, bionda, pallida, eterea, amante del colore rosa, conservatrice e tradizionalista.
Eppure queste due donne hanno fatto belle molte donne, anche quelle che non lo erano, donne che hanno lavorato molto e grazie alla loro ambizione hanno dato un’impronta originale all’industria cosmetica creando brand che ancora oggi sono sul mercato.
Entrambe hanno rispetto per le donne e per le lavoratrici, l’impegno di rendere belle e soddisfatte le clienti, il talento di trasformare tristi farmaci in moderni cosmetici.
Possiamo scegliere di metterci o di evitare situazioni in cui trovarci in competizione non funzionale a ciò che veramente vogliamo, talvolta competere ci potrebbe aiutare a finalmente risolvere una situazione e talvolta evitare la competizione ci potrebbe donare spazi personali più gratificanti dove ci occupiamo di ciò che maggiormente ci appassiona.
Se riusciamo a essere libere dal condizionamento di sentirci brave solo quando vinciamo rispetto a qualcuno altro, di sentirci al centro dell’interesse solo quando riusciamo a mettere in ombra l’altra o le altre, di sentirci capaci e meritevoli quando un’altra donna o altre donne sono “perdenti” o meno meritevoli di noi, se tutto questo e qualsiasi altro suggerimento negativo ci condizionano allora non siamo donne libere, non siamo così padrone di noi stesse da saper dominare ciò che può infastidirci per poter fare e vivere con soddisfazione i nostri intenti per noi e per gli altri.
Infatti il rischio del permanere in una condizione di continua competizione, soprattutto nel lavoro, è che a lungo andare logora e ci crea sofferenza perché c’è sempre qualcosa di migliore, di nuovo, di giovane e di stimolante che entrerà nella nostra vita ed in quella degli altri.
Dobbiamo essere libere dalla prigione della perfezione, dal continuo bisogno di approvazione, di riconoscimento e di ammirazione da parte degli altri.
La libertà è una scelta interiore, in ciò che pensiamo, in ciò che crediamo e in ciò che agiamo.
Donatella Metelli